La Corte costituzionale, con sentenza n. 128/2024, è nuovamente intervenuta sulle tutele applicabili nei casi di licenziamenti illegittimi. La Corte ha, infatti, dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2 del D.lgs. n. 23/2015 nella parte in cui non prevede la tutela reintegratoria anche per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo dichiarati illegittimi per insussistenza del fatto.
Con ordinanza n. 140/2023, il Tribunale di Ravenna, Sezione Lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto la disciplina del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo di cui all’art. 3, commi 1 e 2 del D.lgs. n. 23/2015. Nello specifico, il Tribunale di Ravenna era stato chiamato a decidere sulla legittimità di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo operato da un’impresa di somministrazione di lavoro (sopra-soglia dimensionale) nei confronti di un operaio specializzato assunto a decorrere dal 1° dicembre 2018. Il datore di lavoro, infatti, aveva licenziato il dipendente sostenendo la mancanza di missioni presso le aziende utilizzatrici e di concrete possibilità di reimpiego. Nel corso del giudizio, il lavoratore era riuscito però a dimostrare che tale motivazione era del tutto insussistente. Il datore di lavoro non aveva in realtà proposto il suo nominativo a molte imprese utilizzatrici che avrebbero potuto impiegarlo per incarichi compatibili con la sua professionalità e il suo profilo.
Pertanto, accertata l’insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il Giudice di prime cure rilevava la sussistenza di una questione di legittimità costituzionale. Infatti, trattandosi di un licenziamento per motivi economici, il Giudice avrebbe dovuto disporre la mera tutela indennitaria di cui all’art. 3, comma 1 del D.lgs. n. 23/2015. Al contrario, laddove si fosse trattato di un licenziamento disciplinare o per giusta causa dichiarato illegittimo anch’esso per insussistenza del fatto, il Giudice avrebbe disposto la reintegra nel posto di lavoro. Ad avviso del Giudice, le norme citate determinano un’ingiustificata disparità di tutela per il lavoratore fondata sulla qualificazione che il datore di lavoro conferisce al licenziamento (se economico o disciplinare).
La Corte costituzionale ritiene fondate le questioni sollevate dal Tribunale di Ravenna.
Più nello specifico, la Corte precisa che il c.d. “fatto insussistente” è un elemento neutro sia per un licenziamento per giusta causa o disciplinare sia per un licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Infatti, il fatto insussistente rimane tale sia che si tratti di una condotta inadempiente del lavoratore che in realtà non c’è stata, sia che si tratti di una ragione di impresa che in realtà non sussiste. Pertanto, la tutela applicabile non può differire a seconda della qualificazione che il datore di lavoro dà al proprio recesso.
Ulteriormente, la Corte costituzionale afferma che deve tenersi distinta l’ipotesi in cui il fatto materiale esiste, ma non è stata verificata o non è stata attuata la ricollocazione del dipendente in azienda (c.d. “repêchage”). In tal caso, il licenziamento è viziato sotto un altro profilo che determina però l’applicazione della tutela indennitaria di cui all’art. 3, comma 1 del D.lgs. n. 23/2015.
In conclusione, la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2 del D.lgs. n. 23/2015 nella parte in cui non prevede che si applichi, anche nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo illegittimo per insussistenza del fatto materiale allegato dal datore di lavoro, la tutela reintegratoria, rispetto alla quale rimane estranea ogni valutazione circa il ricollocamento del lavoratore.