La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 11248 del 28.04.2023, afferma che deve essere valutato con minor rigore il licenziamento irrogato dal datore di lavoro sulla base di un giudizio di inidoneità medica emesso dalla struttura sanitaria pubblica e rivelatosi poi errato.
Il caso prende le mosse dal ricorso della lavoratrice, la quale aveva impugnato il licenziamento irrogatole per giustificato motivo oggettivo in virtù della sopravvenuta inidoneità fisica alla mansione.
La Corte d’Appello accoglieva parzialmente la domanda, condannando la società a riconoscere alla ricorrente solo un’indennità risarcitoria, in quanto il recesso era stato fondato sul giudizio di inidoneità formulato da struttura sanitaria pubblica.
La Cassazione conferma la pronuncia di merito e rileva che il datore di lavoro non può ignorare il giudizio di inidoneità fisica del lavoratore all’espletamento delle mansioni se lo stesso è pervenuto, non già dal medico aziendale, ma direttamente dalla struttura sanitaria pubblica certificante (ASL).
Infatti, secondo la Suprema Corte, il datore non può deliberatamente disattendere il giudizio fornito da una struttura pubblica, la quale è dotata di autorità e posizione di terzietà rispetto al rapporto di lavoro. Ulteriormente, non è possibile pretendere dal datore di lavoro che questi continui a adibire il lavoratore alle mansioni per le quali è stato dichiarato inidoneo, in quanto rischierebbe di sottoporsi a responsabilità per danno alla salute.
Pertanto, l’ordinanza dei Giudici di legittimità sancisce che, laddove il giudizio medico su cui si era basato il recesso datoriale risulti successivamente errato, la responsabilità datoriale sarà limitata e, pertanto, dovrà essere punita solamente con la sanzione indennitaria.
La Suprema Corte rigetta, dunque, il ricorso proposto dalla lavoratrice, ritenendo che la stessa non abbia diritto alla reintegra.