È legittimo il licenziamento del lavoratore che si rifiuta di partecipare alle attività di formazione obbligatoria organizzata dal datore di lavoro. È quanto stabilito dall’ordinanza n. 12241/2023 della Corte di Cassazione.
Il caso prende le mosse dal ricorso proposto da un lavoratore avverso il licenziamento irrogatogli dal datore di lavoro. Questi, infatti, aveva optato per il provvedimento espulsivo a fronte del rifiuto del lavoratore di sottoporsi alla formazione obbligatoria. Il datore di lavoro aveva ritenuto, infatti, integrata, ai sensi del contratto collettivo applicato, una condotta di grave insubordinazione. A tale condotta, le disposizioni collettive facevano conseguire la sanzione del licenziamento.
La Corte di Cassazione conferma la legittimità del licenziamento. Secondo i giudici di legittimità, in precedenza la Corte d’Appello aveva correttamente valutato la gravità del comportamento del dipendente. Questi, infatti, senza alcuna giustificazione si era ripetutamente e volontariamente rifiutato di adempiere alla formazione, violando i canoni di diligenza nell’esecuzione della prestazione richiesti al lavoratore. Ulteriormente, la condotta del lavoratore si poneva in aperto contrasto con l’obbligo di adempiere alle disposizioni dei superiori gerarchici, anche riferite alla necessità di continuo accrescimento professionale per il suo proficuo impiego.
La Suprema Corte ritiene, dunque, che i giudici di seconde cure abbiano correttamente inquadrato la fattispecie nell’ipotesi della grave insubordinazione prevista dal contratto collettivo. Conseguentemente, non risulta nemmeno violato il principio di proporzionalità della sanzione disciplinare posto che le medesime parte sociali hanno ritenuto passibile di provvedimento espulsivo un tale illecito.
Concludendo, la Corte di Cassazione conferma il precedente giudizio di merito e rigetta integralmente il ricorso presentato dal lavoratore.