La vicenda prende le mosse dalle plurime attività svolte dall’inviato di un’emittente televisiva, quali ad esempio partecipazione a conferenze stampa, realizzazione di interviste, servizi di cronaca e commenti a confronti politici, in assenza di iscrizione all’albo professionale di competenza.
In tali circostanze, come precisato dalla Corte di Cassazione (sezione VI Penale, sentenza n. 8956 dell’1 marzo 2023), sussiste il reato di cui all’art. 348 c.p. alla luce della sistematicità degli atti.
Integra il reato di esercizio abusivo della professione di giornalista, in particolare, il compimento senza titolo di attività che siano univocamente individuabili come “competenza specifica della professione”, quando il compimento stesso sia realizzato “con modalità tali, per continuatività, onerosità e organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato” (così, in passato, si era già pronunciata la Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, con sentenza n. 23843 del 31 maggio 2013).
A nulla rileva, pertanto, che l’art. 1 della Legge 69/1963 consenta lo svolgimento dell’attività di giornalista anche in modo non esclusivo (e quindi occasionale).
Se è vero che la legge consente tale possibilità, infatti, è altrettanto chiaro che l’ipotesi sia ampiamente delineata e tipizzata dalla norma, che distingue tra la figura professionale del giornalista e quella del pubblicista: anzi, secondo quanto argomentato dalla Corte, proprio questa seconda ipotesi esclude che possa essere esercitata l’attività di giornalista in assenza di iscrizione all’albo.
Anche il pubblicista, infatti, può svolgere la propria attività (per quanto non continuativa) soltanto previa iscrizione all’Ordine dei Giornalisti, con la conseguenza che, in difetto, l’autore versi nell’ipotesi prevista e punita dall’art. 348 c.p..