Con sentenza n. 14520 del 5 aprile 2023 la Corte di Cassazione, Sezione II Penale, ha tracciato i confini dell’inesistenza del reato di “introduzione nello stato e commercio di prodotti con segni falsi” di cui all’art. 474 c.p..
Affinché il reato possa considerarsi impossibile occorre guardare all’attitudine ingannatoria del marchio. Lo stesso può definirsi innocuo e grossolano soltanto quando sia inidoneo a trarre in inganno il consumatore, indipendentemente dalle modalità di vendita.
La Corte ha infatti ricordato che il reato di cui all’art. 474 c.p. tutela in via principale e diretta la fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nel marchio e nei segni distintivi. Si tratta di un reato di pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione effettiva dell’inganno ma piuttosto la sua potenzialità.
Ai fini della sussistenza del delitto di cui all’art. 474 c.p., pertanto, l’alterazione di marchi ricomprende anche la riproduzione solo parziale del simbolo, idonea a creare la possibilità di confusione con l’originale da verificarsi mediante un esame sintetico (e non analitico) dei marchi in comparazione. L’esame deve quindi tenere conto “dell’impressione di insieme e della specifica categoria di utenti o consumatori cui il prodotto è destinato”, con la conseguenza che non escluda il reato la tutela della sola parte figurativa.