Nel nostro ordinamento sussiste una tipologia di licenziamento riconducibile agli scarsi risultati prodotti dal dipendente durante l’attività lavorativa.
Il licenziamento per scarso rendimento è stato oggetto di diverse pronunce giurisprudenziali. Tale fattispecie è stata, di volta in volta, ricondotta sia al licenziamento per giustificato motivo oggettivo che al licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
Un indirizzo giurisprudenziale (a dire il vero piuttosto minoritario) riconduce il licenziamento per scarso rendimento al licenziamento per motivi oggettivi od economici. Nello specifico, tale orientamento ritiene che il licenziamento possa configurarsi anche con una perdita di interesse del datore di lavoro alla prestazione, indipendentemente da un comportamento negligente del lavoratore. Ciò può configurarsi, ad esempio, qualora il lavoratore si rilevi inidoneo allo svolgimento dei compiti affidati per mancanza di capacità e preparazione necessari. (Cass. civ., n. 14964/2000)
La recente ordinanza n. 9453/2023 della Corte di Cassazione pare, però, aver confermato definitivamente la natura di licenziamento per giustificato motivo soggettivo dello scarso rendimento.
Secondo la Corte, il licenziamento per scarso rendimento costituisce un recesso del datore di lavoro per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali in capo al dipendente.
Nello specifico, si perfeziona laddove coesistano due elementi:
– uno oggettivo, dato dall’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati e i risultati raggiunti dal dipendente. Tale dato deve desumersi in concreto, confrontando l’attività del dipendente con la media delle prestazioni effettuate e dei risultati raggiunti da colleghi occupati nelle medesime funzioni. La casistica giurisprudenziale ha ammesso anche l’ipotesi di licenziamento per scarso rendimento laddove il dipendente, nonostante abbia ricevuto adeguata e progressiva formazione, commetta plurimi errori fin dalla sua assunzione, senza alcun apparente miglioramento (Cass. civ., n. 13625/2020);
– uno soggettivo, dato dalla riconducibilità di tali condotte ad un comportamento colpevole e negligente del dipendente.
Secondo la recente ordinanza della Suprema Corte, il datore di lavoro dovrà provare, non solo il mancato raggiungimento degli obiettivi fissati, ma anche che ciò sia imputabile ad una sua violazione dell’obbligo di diligente collaborazione.
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