Integra il delitto di estorsione obbligare un lavoratore a ricoprire la carica di amministratore di una società.

La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 7456 del 23.01.2025, individua il delitto di estorsione nella condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione di mercato a lui favorevole, costringe un dipendente, dietro minaccia di licenziamento, a ricoprire la carica di amministratore di una società.

Il caso prende le mosse dalla sentenza della Corte d’Appello, la quale aveva condannato l’imprenditore per il reato di estorsione, in quanto aveva costretto un dipendente a mantenere la carica di amministratore della società a pena di licenziamento in caso di scelta differente. In particolar modo, l’imprenditore aveva fatto leva sulla difficile situazione di mercato con una prevalenza dell’offerta sulla domanda.

La Corte di Cassazione, investita della controversia, rileva che la condotta datoriale di prospettare al dipendente la necessità di mantenere la qualità di legale rappresentante della società in alternativa alla perdita del lavoro, non solo è del tutto iniqua e illegittima, ma integra anche una fattispecie di rilievo penale.

Per i Giudici di legittimità, infatti, ricoprire tale carica significa assumersi una serie di obbligazioni di particolare importanza e rilievo. Nel caso di specie, trattandosi di una costrizione e non di una libera scelta, la Suprema Corte vi ravvede oltretutto un vantaggio esclusivamente in capo al solo datore di lavoro.

Pertanto, la Corte di Cassazione conferma la pronuncia della Corte territoriale, ribadendo la natura di estorsione della condotta datoriale, in quanto il lavoratore è stato posto di fronte all’alternativa di accettare le condizioni imposte o di subire il male ingiusto derivante dalla perdita involontaria del lavoro.