La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3400 del 10.02.2025, ha ritenuto corretto includere nella quantificazione del risarcimento del danno da demansionamento per il lavoratore anche il mancato aggiornamento tecnologico, soprattutto laddove il dipendente opera in un settore caratterizzato da una rapida evoluzione.
Il caso prende le mosse dal ricorso presentato dal lavoratore, il quale ricorre giudizialmente domandando l’accertamento dell’avvenuto demansionamento e la conseguente condanna del datore di lavoro alla reintegra nelle mansioni precedentemente svolte nonché al risarcimento del danno alla professionalità da quantificarsi in via equitativa.
La Suprema Corte, investita della controversia, rileva preliminarmente che, in tema di dequalificazione professionale, è risarcibile il danno non patrimoniale qualora si verifichi una grave violazione dei diritti del lavoratore protetti dalla tutela costituzionale.
Secondo i Giudici di legittimità, tale danno deve accertarsi in base alla persistenza del comportamento lesivo, alla durata e alla reiterazione delle situazioni di disagio professionale e personale, all’inerzia del datore rispetto alle istanze del prestatore di lavoro, anche a prescindere da uno specifico intento di declassarlo o di svilirne i compiti.
Pertanto, uno dei parametri da utilizzare per la liquidazione del danno, quantificabile in via equitativa, è rappresentato anche dal mancato aggiornamento del lavoratore in merito al settore cui lo stesso era addetto, soprattutto nel caso in cui si tratti di un ambito altamente specializzato e caratterizzato, come nel caso in esame, dalla velocità dell’evoluzione tecnologica.
Conseguentemente, la Suprema Corte conferma il giudizio di merito e rigetta il ricorso proposto dalla società, confermando la debenza del risarcimento del danno riconosciuto al dipendente.