Concorrenza sleale: l’interdipendenza tra canali di vendita tradizionali e digitali.

Con ordinanza n. 626/2025, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di concorrenza sleale, affrontando la questione della comunanza di clientela tra imprese operanti su canali di vendita diversi. La decisione in commento chiarisce come la concorrenza tra operatori economici possa configurarsi anche nell’ipotesi in cui un soggetto si avvalga di punti vendita fisici e il soggetto, invece, operi per il tramite piattaforme digitali, purché entrambi si rivolgano a una clientela accomunata dallo stesso bisogno di mercato.

Il caso specifico ha interessato una società attiva nella distribuzione di prodotti elettronici tramite negozi fisici, la quale aveva contestato ad alcune imprese concorrenti operanti online di aver abusato di informazioni riservate per promuovere in anticipo vendite a prezzi ribassati. Queste informazioni, acquisite in un contesto di collaborazione societaria, erano state utilizzate per sottrarre clientela, anticipando le iniziative promozionali approvate dalla rete di distribuzione fisica.

In primo grado, la Corte di merito aveva riconosciuto la sussistenza di un illecito concorrenziale, ordinando l’inibizione delle condotte, tuttavia rigettando la richiesta di risarcimento danni.

Successivamente, il Giudice di seconda istanza aveva riformato la sentenza, sostenendo che i mercati delle vendite fisiche e digitali non potessero sovrapporsi e, pertanto, che non vi fosse il presupposto della comunanza di clientela necessario ai fini della configurazione dell’illecito.

La Suprema Corte ha ribaltato la predetta decisione, ribadendo un principio fondamentale: la comunanza di clientela non dipende dal mezzo con cui i prodotti vengono distribuiti, ma dalla capacità di quei prodotti di soddisfare esigenze comuni.

Nel caso in esame, sia i negozi fisici che i canali digitali offrivano articoli destinati alla stessa categoria di consumatori, creando quindi un rapporto competitivo tra le imprese coinvolte. La Corte ha sottolineato che, in un contesto economico caratterizzato dalla crescente integrazione tra modalità di vendita tradizionali e digitali, non si possono ignorare le dinamiche di mercato che rendono detti canali interdipendenti e potenzialmente in concorrenza tra loro.

Quanto alla configurabilità dell’illecito concorrenziale ex art. 2598 c.c., la Suprema Corte ha ribadito che ai fini della prova della condotta non è necessario provare un danno economico concreto subito dall’impresa danneggiata. È sufficiente che la condotta contestata abbia la potenzialità di causare un pregiudizio, concretandosi in un rischio per la clientela e/o per l’equilibrio competitivo del mercato.