Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti: non rileva solo la diffusione dei contenuti, ma anche l’intenzione del soggetto agente di recare un danno alla vittima

Con la sentenza n. 44735 emessa in data 5 dicembre 2024, la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha affrontato nuovamente il tema del – volgarmente detto – revenge porn.

Il reato in questione, denominato “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, introdotto nell’ordinamento italiano dalla L. 19 luglio 2019 n. 69, è previsto dall’art. 612 ter c.p., il quale punisce, in particolare, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate.

Il caso de quo riguarda un soggetto condannato dalla Corte d’Appello di Roma per aver diffuso, senza il consenso della vittima, riproduzioni fotografiche e video che la riproducevano in atteggiamenti sessualmente espliciti. La Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di secondo grado, disattendo la tesi difensiva del ricorrente, secondo il quale le foto in questione erano, già da tempo, in possesso dei soggetti con cui l’imputato interloquiva, essendo le stesse state diffuse da altre persone in precedenza.

Con detta pronuncia, la Suprema Corte ha ribadito l’orientamento giurisprudenziale espresso dalla sentenza Cass. Pen., Sez. V, 22 febbraio 2023, n. 14927, in virtù del quale integra il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti la condotta di chi, avendo ricevuto o comunque acquisito, anche dalla stessa persona ritratta, immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso della persona rappresentata, con il fine specifico di recarle nocumento. Pertanto, ai fini della configurazione del delitto di cui all’art. 612 ter c.p. rileva non solo la diffusione di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso della persona rappresentata, ma anche l’intenzione del soggetto agente di recare un danno alla persona offesa.

Nella medesima sentenza, la Corte di Cassazione ha, infine, chiarito che il termine di prescrizione per il reato di cui all’art. 612 ter c.p. inizia a decorrere dal momento in cui la vittima scopre la diffusione delle immagini o dei video e non dal momento in cui il reato è stato commesso.