Con la sentenza Cass. Pen., Sez. V, 13 dicembre 2023, n. 9885, la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata in merito alla responsabilità dell’amministratore di diritto e dell’amministratore di fatto nel caso di bancarotta fraudolenta documentale.
Il procedimento de quo trae origine da una pronuncia della Corte d’Appello di Trieste con la quale veniva confermata una sentenza di condanna emessa in primo grado nei confronti dell’amministratore di diritto e dell’amministratore di fatto di una S.r.l. per il delitto di cui all’art. 216 c. 1 n. 2 della Legge Fallimentare (R.D. 16 marzo 1942 n. 267).
Avverso suddetto provvedimento presentavano ricorso per cassazione entrambi gli imputati.
L’amministratore di diritto sosteneva che non fosse sufficiente l’accettazione dell’assunzione della carica di amministratore unico, peraltro in veste di mero prestanome, ai fini dell’attribuzione della penale responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta. Difatti, secondo la tesi difensiva, sarebbe stato indispensabile riscontrare un comportamento “attivo” dell’amministratore, considerando che l’art. 216 c. 1 n. 2 della Legge Fallimentare punisce la sottrazione o la distruzione di documentazione contabile.
L’amministratore di fatto, invece, sosteneva che soltanto l’amministratore di diritto potesse essere destinatario del dovere di corretta conservazione della contabilità.
La Suprema Corte riteneva inammissibile il ricorso presentato dall’amministratore di fatto, mentre valutava nel complesso infondato il ricorso depositato dall’amministratore di diritto.
In particolare, la Corte di Cassazione condivideva la ricostruzione operata dai Giudici di merito secondo la quale anche la scelta cosciente e volontaria, precipuamente dettata da bisogno economico, previa pattuizione di un compenso mensile ad hoc, di abdicare al proprio ruolo organico e apicale per rimettere indiscriminatamente la titolarità gestionale a terzi, può rappresentare sostrato probatorio sufficiente a comprovare la sussistenza del dolo omissivo. Pertanto, secondo la Suprema Corte l’amministratore di diritto era ben consapevole della posizione di garanzia assunta con l’accettazione della veste di amministratore della società e dell’obbligo di provvedere o almeno di sorvegliare affinché la contabilità dell’impresa fosse regolarmente tenuta.
Con riferimento, invece, alla posizione dell’amministratore di fatto la Corte ha ribadito il proprio orientamento secondo il quale “l’amministratore «di fatto» della società fallita è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore «di diritto», per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili”. L’immissione “in fatto” nell’attività gestoria rappresenta la fonte dell’assunzione della posizione di garanzia di cui all’art. 40 cpv. cod. pen., che può anche coesistere con quella del titolare della carica formale.