Con l’ordinanza n. 10734 del 22.04.2024, la Suprema Corte afferma che, in caso di esito negativo del tentativo di conciliazione obbligatorio ai sensi dell’art. 7 della L. n. 604/1966, il datore non è tenuto ad inviare al dipendente anche la seguente lettera di licenziamento, essendo sufficiente l’indicazione della volontà interruttiva del rapporto contenuta nel verbale redatto innanzi all’ITL.
La pronuncia prende le mosse dal ricorso di una lavoratrice che aveva impugnato giudizialmente il licenziamento irrogatole per giustificato motivo oggettivo. Tra le domande, la dipendente contestava non solo la legittimità del licenziamento, ma anche la forma del recesso. Nel caso di specie, infatti, il datore di lavoro, successivamente alla chiusura negativa della procedura di conciliazione, non aveva consegnato anche la lettera di licenziamento.
La Corte d’Appello accoglie parzialmente la predetta domanda ritenendo provata la forma scritta del recesso, poiché la volontà di interrompere il rapporto era contenuta chiaramente nel verbale conclusivo della procedura ex art. 7 L. n. 604/1966, sottoscritto da entrambe le parti. Dall’altro lato, però, dichiara illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo in quanto il datore di lavoro non aveva rispettato il principio di correttezza e buona fede nella scelta della lavoratrice da licenziare.
Preliminarmente, la Cassazione precisa che il licenziamento richiede la forma scritta in quanto è necessario mettere a conoscenza il dipendente dell’atto interruttivo del rapporto di lavoro. Secondo i Giudici di legittimità, nel caso di specie, tale funzione è stata certamente assolta, poiché il datore di lavoro aveva formalizzato e verbalizzato innanzi ad una sede istituzionale e protetta (Ispettorato del Lavoro) la propria volontà di interrompere il rapporto di lavoro.
Conseguentemente, laddove nel verbale negativo ex art. 7 L. n. 604/66 il datore verbalizzi e confermi la propria volontà di recedere dal rapporto di lavoro, non vi è alcuna necessità di inoltrare successivamente anche una lettera di licenziamento.
Pertanto, la Suprema Corte, confermando la pronuncia di merito, rigetta il ricorso proposto dalla lavoratrice e conferma la condanna ad una sola tutela indennitaria.