Con l’ordinanza n. 4279 del 16.02.2024, la Cassazione sostiene l’illegittimità del comportamento del datore di lavoro che consente, anche colposamente, il protrarsi di un ambiente stressogeno ovvero tolleri l’esistenza di una condizione di lavoro lesiva della salute.
Il caso prende le mosse dal ricorso di una lavoratrice avverso la pronuncia della Corte d’Appello, la quale aveva rigettato le domande relative al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti in seguito a comportamenti vessatori e dequalificanti posti in essere dai colleghi di lavoro. Nello specifico, il Giudice di merito aveva ritenuto non sussistente nel caso concreto la fattispecie del mobbing e, conseguentemente, aveva ritenuto non risarcibili i danni domandati dalla ricorrente.
La Corte di Cassazione, ribaltando la pronuncia di merito, rileva che escludere nel merito la sussistenza del mobbing non è sufficiente per rigettare integralmente le domande risarcitorie per il danno alla salute. Infatti, l’ambito di responsabilità del datore di lavoro è individuato dall’art. 2087 c.c. che ha un’applicazione ben più estesa del mero istituto del mobbing. Secondo l’art. 2087 c.c. il datore di lavoro è obbligato a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei dipendenti, dovendo altresì provare in giudizio di aver adottato tutte le misure necessarie secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica (tra i precedenti giurisprudenziali: Cass. nn. 24804/2023, 34968/2022, 33239/2022, 29909/2021, 14192/2012, 4184/2006). Pertanto, i Giudici di legittimità ritengono che anche la prevenzione e, ove possibile, la rimozione di un clima lavorativo teso e ostile costituiscono quelle misure necessarie che il datore di lavoro deve adottare ai sensi dell’art. 2087 c.c.
Considerato che la datrice di lavoro (nello specifico una Pubblica Amministrazione) non aveva adottato tali misure, la Suprema Corte accoglie il ricorso della dipendente e statuisce il diritto della stessa a vedersi riconosciuto il risarcimento dei danni alla salute subiti.