Con la sentenza n. 35066 del 14.12.2023, la Cassazione afferma che il datore, per provare l’incidenza lesiva del vincolo fiduciario del comportamento extralavorativo del dipendente, può limitarsi alla specifica deduzione del fatto in sé quando lo stesso abbia un riflesso, anche solo potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto di lavoro tale da compromettere le aspettative di un futuro puntuale adempimento.
Il caso prende le mosse dal ricorso di un lavoratore assunto con ruolo di responsabilità e coordinamento, il quale era stato licenziato per aver molestato delle colleghe. La Corte d’Appello aveva confermato la legittimità del licenziamento in quanto la condotta addebitata al lavoratore, integrando una fattispecie di molestie sul lavoro, era idonea a giustificare la sanzione espulsiva.
La Corte di Cassazione ha confermato l’impostazione assunta dai Giudici di merito. Preliminarmente, ha rilevato che per molestie sul lavoro devono intendersi tutti quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni anche connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
Più precisamente, la fattispecie della molestia risulta oggettiva ed integrata dal carattere non desiderato della condotta, anche laddove ad essa non conseguano effettive aggressioni fisiche a contenuto sessuale.
Per i Giudici di legittimità, pertanto, in presenza di tali condotte, deve trovare applicazione la Convenzione OIL n. 190, ratificata dall’Italia con la L. 15 gennaio 2021, n. 4, che ha normativamente riconosciuto l’inaccettabilità e l’incompatibilità della violenza e delle molestie con il lavoro dignitoso.
Conseguentemente, la Suprema Corte rigetta il ricorso del dipendente, accertando e dichiarando la legittimità del licenziamento irrogatogli dalla banca datrice di lavoro.