Con sentenza del 27 aprile 2023, la Corte di Giustizia Ue (causa C-686/21) ha stabilito che le questioni relative alle modalità di adozione, da parte dei contitolari di un marchio dell’Unione europea, della decisione di concedere una licenza d’uso di quest’ultimo o di recedere dal relativo contratto devono essere decise sulla base del diritto nazionale.
Così la Corte di Giustizia Ue ha risposto alla domanda di pronuncia pregiudiziale presentata dalla Corte di Cassazione italiana, con la quale erano stati domandati chiarimenti circa l’interpretazione della direttiva 89/104/CEE e del reg. UE n. 40/94. In particolare, la Suprema Corte chiedeva se per la decisione di concessione di una licenza d’uso, o di recesso dal relativo contratto, di un marchio nazionale o europeo detenuto in comproprietà fosse necessario il consenso all’unanimità o a semplice maggioranza da parte dei contitolari.
Investita della questione, la Corte di Giustizia Ue ha affermato che l’assenza di espliciti riferimenti alla comproprietà di un marchio nazionale nella direttiva n. 89/104 non è da interpretare come un’esclusione di tale forma proprietaria ma, bensì, che la stessa è disciplinata dal diritto nazionale (al cui interno rientrano così le modalità di esercizio, da parte dei contitolari, dei diritti conferiti dal marchio, compreso quello di decidere di concedere una licenza d’uso di quest’ultimo o di recedere dal relativo contratto). Dall’altro, l’assenza di tali disposizioni nel Reg. n. 40/94, il quale pur riconosce la possibilità di forme di comproprietà del marchio Ue, ne comporta l’assimilazione a un marchio nazionale.
Alla luce di ciò, tale assimilazione determina dunque l’applicazione della rispettiva disciplina nazionale in relazione alle decisioni di concessione di licenza d’uso, o di recesso dal relativo contratto, del marchio Ue.